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Paesaggi d’intervallo. Il tempo nella pittura di Laura Villani

di Luca Ferracane

Anni fa avevo un approccio alla vita più disincantato, com’è ovvio che sia per un ventenne. Molte cose, a quell’età, si godono in una maniera di lieta, inconsapevole superficialità che restituisce spesso una visione del mondo in cui tutto è potenzialmente realizzabile. Si sogna. È nel decennio dai Venti ai Trenta, però, che quei sogni così sospirati rivelano la loro natura effimera, illusoria e amara. La mia generazione, tranne pochi fortunati, continua a vivere nel dramma della precarietà, dell’incertezza, in cui il sogno è divenuto cenere, fumo negli occhi. Anche la percezione delle persone cambia. Il senso di fratellanza e complicità che lega spesso gli adolescenti sfuma lentamente per lasciare spazio a una inesorabile e quasi necessaria misantropia. Non per essere nichilisti – probabilmente il lettore avrà già incamerato una certa dose d’ansia – ma per mera sopravvivenza. Homo homini lupus, altro che fraternité. Ecco, la mia più grande angoscia oggi è la sovrappopolazione umana, forse concausa, se non principale origine, dei mali che affliggono il Pianeta e di conseguenza noi stessi. Definirci cavallette, piaga d’Egitto, è davvero un delicato eufemismo. Sarà per questo che la visione degli scenari dipinti da Laura Villani riesce a donarmi pace, almeno per qualche attimo. Paesaggi d’intervallo permeati da quieta vitalità, lunghi attimi di pausa dalla frenesia e dal brulichio antropico che sembra voler corrodere tutto. Credo ci sia bisogno di concedersi una tregua dall’uomo, finanche dalla “socialità a tutti i costi” del mostrarsi, dell’apparire, dell’esserci sempre e comunque, atteggiamenti sovente ipocriti ed edulcorati. 

La dimora del Tempo, 2020; L’eco del silenzio, 2021

Qualcuno troverà inquietanti queste opere, le considererà oscure nature morte, come se la mancanza dell’onnipresente uomo-dio costituisse davvero un qualcosa di negativo. Io non posso che goderne invece, immaginando di trovarmi lì, all’interno della tela, lontano dal fracasso artificiale che la tecnologia tende ad amplificare, immerso in un silenzio che lascia spazio al respiro della Terra, in cui è possibile percepirne la vibrazione musicale, al pari delle Sfere celesti del Somnium Scipionis. Il vero problema è che abbiamo dimenticato come si fa a prestare davvero ascolto, con attenzione e soprattutto pazienza, a tutto quel che ci circonda, voltando le spalle alla Natura in primis – in un mondo che reputa la lentezza un male da estirpare, un non-valore che danneggia la produttività e dunque il consumo – e alla nostra umanità. 

Il cielo dei dipinti di Villani, così, incombe nero, senza luce, come ci trovassimo sulla Luna, in quel suolo ultraterreno nel quale è finito, per dirla con Ariosto, tutto il senno degli uomini, custodito in fragili boccette di vetro. Eppure la casta diva che inargenta piante, monti, città, fa la sua comparsa nei cieli della pittrice, che raffigura proprio la Terra, una Terra altra, luogo muto che custodisce la memoria di un passato che non vuole piegarsi all’impero della rapidità, o ancora, che cela gelosamente la presenza di qualcuno che qui ha garantito un rifugio. 

L’insondabile, 2021

Gli oggetti che sembrano abbandonati, sospesi in un istante dilatato che non ha bisogno di affannarsi ad aspettare il sorgere del Sole, paiono incarnare proprio il placido gusto dell’attesa, non quella impaziente e appartenente all’infanzia, ma quella che s’impara a corteggiare da adulti, invecchiando, quando scegliamo volontariamente di esiliarci da una quotidianità che non ci appartiene più, godendo di quei piccoli avvenimenti che si nascondono a chi non è in grado di guardare e sentire. Il germogliare di una pianta, l’odore di un libro, lo strusciarsi di un gatto. La realtà pittorica di Villani accoglie, con la sua segreta ambiguità, un universo alternativo che corre sul filo dell’utopia, costruito attraverso il potere dell’immaginazione che proietta desideri e nostalgie.

Oltretempo, 2021

Non deve turbare il deserto silente in cui si ergono, monolitici, strani monti brulli e grossi massi, in cui appaiono casette, grezzi archi di trionfo, vari oggetti d’uso comune, specchi d’acqua ferma, il tutto immerso nella notte infinita. Questa notte è stato mentale, asilo, preghiera alla Luna, voto in cui s’implora “Spargi in terra quella pace / Che regnar tu fai nel ciel”. Rallenta, è quel che dice ogni immagine creata da Villani, suggerendo che è possibile appropriarsi del tempo, non quello oggettivo, ma quello intimo e personale. Chissà che in un momento di distrazione non possa fare la sua comparsa qualche bizzarro personaggio, tornato per accomodarsi su una poltrona o pronto a salpare su una barca. Forse ci renderemmo conto che quella terra immobile non è altro che la sabbia all’interno di un’enorme clessidra che nessuno vuole più capovolgere. Campi Elisi sotto vetro. 

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