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Quando lo zucchero diventa un problema. Il quesito dell’artista Peter Anton

di Luca Ferracane

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un incremento spaventoso di programmi, blog, reality sulla cucina. Non che prima non ce ne fossero, ma da qualche tempo a questa parte pare essere diventata una fissazione, una mania. Per carità, sono il primo a reputare il piacere del cibo in cima alla scala dei piaceri ma mi duole constatare, tuttavia, come anche la maggioranza degli esercizi commerciali che vanno aprendo in ogni città del mondo siano legati a questo. I fast food, lungi dall’essere superati, convivono benissimo tra migliaia di altre botteghe che propongono solo cibo, dal dolce al salato. Sembra quasi che si debba uscire a fare una passeggiata unicamente per mangiare o bere e che non si possa fare altro. L’artista Peter Anton, ha utilizzato il cibo quale mezzo per indagare alcune psicosi del genere umano, prime fra tutte, le dipendenze. Nel 2017, in particolare, alla UNIX Gallery di New York, si è svolta una delle sue personali, un esame, in sostanza, su una possibile – e non tanto improbabile – dipendenza dallo zucchero, in questo caso, per ognuno di noi. 

“Lo zucchero aumenta i livelli di dopamina nel cosiddetto centro delle ricompense del nostro cervello”, afferma l’artista. “Come per molte attività felici, c’è una linea sottile tra piacere e distruzione”. Il suo lavoro esplora infatti il potenziale distruttivo del cibo sulla vita umana, fino all’estremo. Gli amaretti esplodono in polvere colorata, una gigantesca torta di ciliegie viene spalmata sulla tela mentre l’artista stesso, impotente, legato come un degente, e altri pazienti, vi stanno dinanzi. 

Sculture di dimensioni monumentali, vibranti e iperrealistiche, torte, macarons, biscotti, coniglietti di cioccolato sono mostrati frantumati, schiacciati, schizzati, rotti e lanciati nello spazio. Le sculture di Anton sono altamente dettagliate e realizzate a mano con materiali accuratamente selezionati e manipolati. Resina, gesso, legno, argilla, alluminio e colori acrilici e ad olio.

Un’interpretazione “violenta” dello zucchero, una metafora della società dei consumi in cui tuttora viviamo che ci seduce con i colori sgargianti dei dolci e le loro consistenze, un tranello che nasconde un pericolo per la salute. 

“Stavo pensando a quanto siamo ossessionati dai dolci e dal ruolo importante che svolgono nella nostra vita, e come ci rivolgiamo a loro per trovare conforto e come li usiamo per gratificarci. Penso che sia incredibile come i meravigliosi colori, sapori e consistenze delle prelibatezze zuccherate possano intossicarci e farci impazzire fino al punto di non poter farne a meno. Perché ora abbiamo bisogno di mangiare qualcosa di dolce tutti i giorni o dopo ogni pasto? Perché stiamo mangiando più zucchero e perché le porzioni aumentano?” Così lo spazio dell’esposizione diviene di fatto una sorta di sanatorio dello zucchero, un manicomio in cui i posti letto attendono frotte di uomini e donne affetti dal delirio dello zucchero, del benessere. Ognuno di noi potrebbe ritrovarsi in una situazione simile, o pensare di poterci arrivare, col rischio di dover essere portati, di forza, in questo “Sugatarium”. 

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