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Filippo de Pisis, aristocratico dandy col pallino dell’arte del ben vestire

di Gian Mauro Sales Pandolfini

Son così dolci i lacci della carne
anche se legano, se stracciano.

Filippo de Pisis, Gli Angeli

Conosciamo tutti de Pisis come uno tra i maggiori pittori del primo Novecento italiano, troppo aristocratico per il borghese Futurismo imperante, troppo poetico per le Avanguardie più estreme, e sicuramente più appassionato di natura, di paesaggi alla Monet, di Metafisica dechirichiana e di ragazzi di strada alla Pasolini, nei cui ritratti la malinconia si fa grazia seducente.

L’archeologo, 1928, olio su tela, Genova, Galleria d’Arte Moderna.

Ma ancor prima che in qualità di artista del pennello, de Pisis esordisce come scrittore e poeta: anzi si può azzardare a dire che il successo avuto con la pittura è stato in qualche modo una vera e propria distrazione dalle composizioni letterarie giovanili. Egli stesso dice che “la poesia è tutto per chi vi è nato e la sa sentire, nulla per gli altri”, continuando a ribadire, negli ultimi anni di vita, che “si ostinano a considerarmi un pittore, ma in realtà sono meglio come poeta”.

Filippo de Pisis nella sua casa di Venezia, 1947.

Il ferrarese Luigi Tibertelli proviene da una antica e nobile famiglia pontificia ferrarese, il cui clima austero e conservatore era sicuramente in contrasto con le sue velleità artistiche. Lo pseudonimo assunto, Filippo de Pisis, pare derivi da un omonimo capitano di ventura del suo albero genealogico, vissuto durante il Medioevo, e che sia nato dal desiderio di ricreare una realtà alternativa a quella prospettata dalla propria vita. Eppure la sua “ribellione” biografica non si è mai inverata nel pensiero e negli atteggiamenti profusi. Modello Wilde, è stato tutta la vita un dandy, sostenendo il valore esistenziale dell’eleganza, un’eleganza che si fa categoria dello spirito,specchio dell’animo poetico dell’uomo. Ha difeso a spada tratta le teorie sull’apparenza e ha disprezzato invece, un po’ alla Federico Zeri, l’arrivismo piccolo-borghese italiano. E senza alcun torto, a mio avviso.

La Tour Eiffel, 1939, olio su tela, Collezione privata.

In tutte le sue opere, in effetti, si avverte grande e raffinata cultura, continuo scambio tra poesia e pittura, si palesa l’uomo intelligente, arguto, curioso e languido che indaga il mondo, le sue possibilità, le sue fascinazioni. Appena venticinquenne frequenta a Roma i salotti aristocratici e intellettuali, i circoli poetici, i musei per studiare i grandi Maestri e le botteghe popolari, copia antichi gioielli, disegna motivi decorativi Liberty e inizia a scrivere e organizzare appunti per un’opera, Dell’eleganza, a cui non ha mai smesso di dedicarsi tutta la vita ma che non ha mai portato a termine: di essa ne sono testimonianza anche i suoi ritratti fotografici, in cui sfoggia sempre mise invidiabili e chic. Dalle suggestioni impressioniste del soggiorno parigino passa alla dolcezza cromatica di Tiepolo e al vedutismo di Canaletto a Venezia. Dipinge allora migliaia di opere che sono guizzo lirico, pura suggestione d’animo e immediatezza del pennello.

San Marco, 1947, olio su tela, Collezione privata.

Dopo il Secondo conflitto mondiale è alla Biennale di Venezia, viene tagliato fuori dal Gran Premio per omosessualità (sarà Morandi a prendere il suo posto), e, iniziando a soffrire neurologicamente, viene ricoverato e sottoposto a elettroshock: gli diagnosticano la polinevrite, una neuropatologia che lo semiparalizza. Le sue opere si fanno sempre più drammatiche ed evanescenti.

Natura morta con cielo, 1951, olio su tela, Collezione privata.

Il testo Dell’eleganza contiene frammenti scritti nell’arco di tutta la vita. Una bella edizione italiana è quella curata dalla nipote Bona Tibertelli de Pisis e da Sandro Zanotto, per conto dell’Absconditadi Milano (2005). Dopo una breve introduzione d’intenti, de Pisis si lancia nella codificazione del bel vestire dell’uomo, applicato alla cravatta e agli accessori di ogni genere (copricapo, foulard, bastoni, spille, gemelli, bottoni, ciondoli), al fiore all’occhiello, alle scarpe e ai sovrascarpe, aicolori scelti per gli abiti, ai guanti e all’ombrello.

Vi riporto allora qualche pillola, rimandandovi al piacere della lettura di questa chicca di un grande personaggio della cultura italiana e dell’arte mondiale.

  • «Alcuni raccomandano come indispensabile all’eleganza la semplicità, e sta bene, ma sarà opportuno fare osservare che vi sono varie specie di semplicità: c’è quella che è frutto di sapienza, di complicazione e di cautela, e quella che deriva da ignoranza, superficialità, fretta o economia».
  • «Lo snobismo, nella vita, come nell’arte, è frutto di poca sapienza e di non sufficiente ironia, è perciò comune nei periodi di rivoluzione e caratteristico dei nostri tempi di servi fatti padroni».
  • «L’eleganza e la grazia, dopo la verità e la bellezza, sono il più bell’ornamento della vita, dice Socrate».
  • «Un uomo pare sempre quello che è. Le style c’est l’homme. L’habit c’est l’homme».
  • «La vera eleganza non si può ottenere se non attraverso la personalità, e questa se non con ingegno, studio, cultura, senso giusto della forma e del colore, internazionalità, spezzatura [ovvero ‘rottura’], raffinatezza ed esperienza estrema e complessa».
  • «Nell’arte in genere, ma specialmente nella eleganza, fondamentale è la massima dei greci, medéu agan! o dei latini, ne quid nimis, vale a dire “niente di più”».
Ritratto di giovane uomo, 1929, acquerello, Collezione privata.
  •  «L’eleganza vera (come ogni opera fine dello spirito!) è una cosa profonda e capziosa e perciò non può essere apprezzata che dai giudici competenti, i quali non possono essere che pochi. […] Non può nascere che dallo studio amoroso e particolare di un solo individuo, come un’opera d’arte. […] Consisterà soprattutto nel rifuggire, ma con gran gusto e senso di misura, dalle cose comuni e dalle mode prescritte, e nel sapere intonare le varie parti di una toilette con originalità. […] Un colore stonato, un taglio goffo o pretenzioso di un vestito possono distruggere tutta la grazia di un corpo bellissimo».
  • «Il contadino, nel suo tradizionale abito di velluto con i fiocchetti colorati pendenti dal colletto della camicia floscia, è molto più elegante dell’impiegatino tutto stiratino e ripulito».
  • «Adesso l’abito maschile tende, specie negli uomini giovani, ad effeminarsi […]. A ciò bisogna però accedere con molta cautela e quella linea d’eleganza che può permettersi uno dotato di alti doni fisici e di figura piena, disdice a un uomo di bassa statura e di membra troppo gracili».
  •  «Si vedono adolescenti che si lascian crescere la barba; ciò in determinati tipi può anche essere elegante, ma bisognerà che trovi riscontro nel vestiario, negli atti, nel tenore di vita, altrimenti rasenterà il buffo».
Giovane nudo, 1942, acquerello, Collezione privata.
  •  «Un uomo con la barba lunga e i capelli spettinati può in determinate circostanze essere più elegante di uno che esce da un pregiato coiffeur».
  • «L’eleganza influisce anche sulla salute! […] Uno facendo toilette rinasce».
  •  «Gli animali hanno gran cura della loro pelle: la pelle dell’uomo è il vestito. […] Siamo grati a questa pelle che copre tante miserie».

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